Come iniziare a studiare il giapponese (senza perdersi per strada)
Se stai pensando di imparare il giapponese, probabilmente ti sei già sentito dire sempre le stesse cose:
“Parti da hiragana e katakana. Poi passa ai kanji. Poi studia un po’ di grammatica.”
È quello che si legge ovunque — forum, blog, video, app — e sembra anche il consiglio più logico del mondo.
Io stesso ho cominciato in questo modo, così come la maggior parte delle persone interessate al giapponese che ho conosciuto negli anni.
Ma col tempo mi sono accorto che questa strada, che all’inizio sembra così chiara, in realtà ti porta dritto verso la frustrazione.
La prima strada: quella che ti promette tanto… ma ti stanca subito
All’inizio è anche entusiasmante.
Impari gli hiragana, poi i katakana. Ti sembrano difficili, ma in realtà sono un numero limitato di segni: una volta che li riconosci, ti senti già un po’ dentro al mondo giapponese.
Poi arriva il momento dei kanji. E lì… comincia la salita vera.
Sono centinaia, migliaia di simboli, con più letture, più significati, più eccezioni.
E tu cerchi di studiarli, ma è come inseguire una marea con un secchiello.
Nel frattempo cominci a memorizzare le regole di grammatica.
Tante, una dietro l’altra, scritte in modo logico ma difficili da applicare nella pratica.
Ti sembra di imparare molto, ma quando provi a dire qualcosa… non viene fuori nulla.
Allora passi al lessico, magari con le app o con programmi di ripetizione come Anki.
All’inizio funziona: impari dieci parole al giorno, poi venti, poi cento…
Finché un giorno ti accorgi che non ce la fai più.
Le parole non si fissano nella testa, o se lo fanno non le sai usare.
E piano piano, l’entusiasmo iniziale si spegne.
Non perché non sei portato — ma perché questo modo di imparare va contro il funzionamento naturale del cervello.
È come voler imparare a camminare studiando prima l’anatomia del piede.
Ora probabilmente ti starai chiedendo: “Ma quindi, come devo iniziare a studiare il giapponese?”
La seconda strada: quella che segue il cervello, non lo forza
A un certo punto ho capito che c’era un altro modo.
L’ho scoperto studiando non solo giapponese, ma anche altre lingue, e osservando come imparano i bambini — e gli adulti che riescono davvero a parlare.
La seconda strada consiste nel lasciare che il cervello faccia il lavoro per cui è progettato: imparare le lingue in modo naturale, attraverso il significato.
C’è una teoria, quella del Comprehensible Input del linguista Stephen Krashen, che lo spiega benissimo.
In pratica dice questo: se quando qualcuno ti parla capisci cosa ti sta dicendo, anche senza conoscere tutte le parole, il cervello comincia da solo a costruire i collegamenti tra suono e significato.
È lo stesso meccanismo che usiamo da bambini: ti mostrano una palla e ti dicono “prendi la palla”.
Tu non traduci, capisci.
E così le parole, i suoni, la grammatica diventano tuoi.
Quando impari in questo modo, non hai bisogno di forzarti a memorizzare: la lingua comincia a “scivolare dentro” quasi da sola.
E quando poi decidi di riflettere su quello che hai già assorbito — la grammatica, le strutture, le differenze — lo fai con una chiarezza completamente diversa, perché hai già sentito la lingua funzionare dentro di te.
Dallo studio alla scoperta
Negli anni ho raffinato questa seconda via, adattandola al giapponese e alle altre lingue che parlo.
L’ho sperimentata su di me e poi con centinaia di studenti.
Ed è così che è nata l’idea di Kallama: un modo per insegnare le lingue non come materie da studiare, ma come esperienze da vivere.
Perché in fondo, imparare una lingua non dovrebbe essere un esercizio di memoria.
Dovrebbe essere un modo per riattivare qualcosa che il nostro cervello sa già fare: capire, associare, parlare.
Se vuoi saperne di più…
Ho creato un minicorso gratuito – “Impara il giapponese DAVVERO” – che ti mostra come assimilare il giapponese, anziché solo “studiarlo”, usando questo approccio diverso da quello tradizionale accademico.
Lo trovi cliccando qui!
		
				
				
				
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